martedì 15 marzo 2011

La battaglia di un marito iraniano di Viviana Mazza




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corriere della Sera 27esimaora
MAR 14

La battaglia di un marito iraniano

Tags: avvocato, diritti umani, giornalismo, iran, marito, nasrin sotoudeh, reza khandan

Reza Khandan ha 47 anni, è il marito di un’avvocatessa iraniana che ha difeso detenuti politici, studenti, minorenni, attiviste per i diritti delle donne (e anche Shirin Ebadi). L’ho intervistato via email tramite un’attivista iraniana. Mi ha parlato di sua moglie, Nasrin Sotoudeh (nella foto qui sopra), da 6 mesi in prigione a Teheran, condannata a gennaio a 11 anni per “minaccia alla sicurezza nazionale” e “propaganda contro lo stato”; dopo il carcere, per altri 20 anni, non potrà esercitare l’attività di avvocato. Khandan è un grafico. Si sono conosciuti in un giornale dove per un periodo hanno lavorato entrambi. Lui sta cercando di presentare ricorso, e si prende cura della figlia di 11 anni e del figlio di 3. E’ stato arrestato per un giorno, a gennaio, per “pubblicazione di falsità” e “disturbo dell’opinione pubblica” dopo una sua lettera alla procura della Repubblica islamica e interviste concesse sulla moglie. Ma continua a parlare di lei.

Reza Khandan con il figlio Nima nella foto che usa nel suo profilo Facebook
Ha denunciato le condizioni di detenzione della moglie: lunghi periodi in isolamento (ora è in cella con altre due donne), scarsi contatti con l’avvocato difensore (“una sola volta prima del processo”) e con la famiglia. Ha affermato che, dopo tre scioperi della fame, il peso della moglie era sceso da 58 chili a 44. Scrive via email:

Nasrin non conosce la parola “paura”. In determinate circostanze, è cauta, ma solo per portare avanti il suo lavoro al meglio. Mi ricordo che dopo una telefonata di un funzionario della sicurezza dello Stato in cui mi chiedevano “Dì a tua moglie di mollare il caso di Shirin Ebadi, altrimenti anche lei avrà problemi”, riferii la cosa a Nasrin e lei, invece di spaventarsi, scrisse al ministro dell’Informazione di identificare la persona che aveva fatto la telefonata e di spiegare su quali basi era stata minacciata

Secondo Amnesty, Sotoudeh è stata condannata per le sue attività di avvocato e la collaborazione con il premio Nobel per la pace Ebadi. Tra le accuse, era stato citato anche un video che l’avvocatessa aveva inviato all’organizzazione di Bolzano “Human Rights International”, in occasione di un premio per i diritti umani assegnatole nel 2008, in cui compare senza velo, ma non è chiaro quanto abbia influito. Secondo Pen International sarebbe stata punita anche per interviste critiche nei confronti del governo a proposito dei diritti umani che ha concesso ai media stranieri dopo le elezioni presidenziali iraniane del 2009. Anche Khandan è stato arrestato a gennaio e, dopo un giorno, scarcerato su pagamento di una cauzione pari a 37mila euro. Amnesty dice che rischia di finire in carcere di nuovo.

Gli ho chiesto se è vero che gli hanno fatto pressioni perché smetta di parlare con i giornalisti e se pensa di obbedire. La sua risposta:

Dato che la stampa in Iran non ha permesso di pubblicare e diffondere le interviste con i familiari dei prigionieri, noi ci sentiamo costretti a parlare con la stampa estera. Finché questo rientra nei termini stabiliti dalle leggi, continuerò a parlare con i giornalisti stranieri.




Khandan continua a lavorare. I bambini vanno a scuola e all’asilo, e dallo psicologo. Il padre ha scritto su Facebook che pensava che Nima, che ha 3 anni, non si rendesse bene conto degli eventi. Ma il 5 febbraio il bambino ”si è svegliato, ha bevuto il suo tè prima di andare all’asilo e ha detto molto dolcemente: Prego che il signore che ha preso mia mamma la lasci andare”. Mehraveh, la figlia, parla poco, si è chiusa in se stessa. La sorella di Nasrin Sotoudeh dà una mano in casa; la madre ha l’Alzhaimer e il padre è morto mentre lei era in prigione. Non ha potuto partecipare al funerale.

Gli incontri con i figli:
Mehraveh e Nima hanno potuto vedere la madre per la prima volta dopo 60 giorni dalla detenzione, senza di me. La visita è durata 20 minuti. Ci fu una discussione accesa tra la sorella di Nasrin, che li accompagnava, e le guardie, e i bambini sono usciti piangendo. La seconda volta, 110 giorni dopo l’arresto di Nasrin, i bambini hanno potuto vedere la madre per 5 minuti. Io ho potuto farle visita per la prima volta 70 giorni dopo l’arresto, e tra noi c’era il vetro divisorio. Il mio primo incontro con lei faccia a faccia è avvenuto in tribunale (a gennaio ndr), in presenza delle guardie. Ora ogni due settimane è possibile parlarle attraverso il vetro divisorio. Ci hanno consigliato di non portare i bambini.





I bambini vanno comunque alle visite, qualche volta. Capita anche che le visite saltino. Una volta, ha scritto Khandan su Facebook, sua moglie non si è presentata. Lui ha detto che volevano bendarla per il colloquio con i familiari, e lei ha preferito non andare. Tra le persone che hanno mostrato solidarietà alla famiglia ci sono la moglie del leader dell’opposizione Mir Hossein Mousavi e l’ambasciatore britannico Simon Gass. Vista l’ostilità tra governo e opposizione in Iran e i problemi diplomatici tra Londra e Teheran, gli ho chiesto se non teme che l’appoggio di queste personalità sia controproducente. La sua risposta:

Una presa di posizione delle personalità politiche può rendere più delicato un caso, ma d’altra parte l’indifferenza verso le violazioni dei diritti umani può anche peggiorare la situazione.

In Italia, di recente hanno fatto appelli per Sotoudeh l‘ordine degli avvocati di Bolzano e il consiglio comunale di Firenze. E’ più noto il caso di Sakineh Ashtiani. Ho chiesto a Khandan se vede somiglianze tra il caso di sua moglie e quello di Sakineh.

I loro casi sono completamente diversi. Nasrin è vittima perché ha difeso decine di uomini e donne che, come Sakineh, sono vittime della violazione dei diritti umani. Lottare contro Nasrin e persone come Nasrin significa lottare contro la giustizia.