venerdì 26 febbraio 2010

Confettura d’ananas a Evin

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Dal weblog Amici dell?Iran

Confettura d’ananas a Evin

2/25/2010 03:59:00 PM Posted In Bahman Ahmadi Amoee , Evin , Jila Baniyaghoub , political prisoners , Prigionieri politici Edit This 0 Comments »
Jila Baniyaghoub racconta il suo incontro con il marito Bahman Ahmadi Amoui, rinchiuso nella prigione di Evin da oltre 8 mesi: “In carcere tu, il visitatore, non hai diritto di portare regali - non conta quanto piccoli - alla persona che ami. Nemmeno una barretta di cioccolata o una mela verde. Invece il detenuto è autorizzato a dare al visitatore qualcosa da mangiare, generi alimentari che ha acquistato nel negozietto interno della prigione di Evin pagandoli parecchie volte il loro prezzo reale”.

Bahman Ahmadi Amoui e Jila Baniyaghoub, giornalisti iraniani, sposati da dieci anni, sono stati arrestati il 20 giugno 2009. Dopo due mesi trascorsi nel carcere di Evin, Jila è stata rilasciata su cauzione. Bahman invece è rimasto in prigione, dove tuttora si trova. È stato processato e condannato, in primo grado, a 7 anni e 4 mesi di detenzione e 34 frustate
Le autorità giudiziarie di Tehran hanno ripetutamente mentito al suo legale ostacolando e limitando l’esercizio del diritto alla difesa.
Bahman ha trascorso i primi 65 giorni di carcere in isolamento, e in isolamento è stato rispedito a più riprese: per punirlo dei suoi reclami contro le condizioni igienico sanitarie di Evin e per sottoporlo a pressione e spingerlo a confessare reati mai commessi. Giornalista economico, sulle pagine del giornale Sarmayeh (ora soppresso) ha più volte criticato la politica del governo Ahmadinejad.
In oltre 8 mesi di prigionia, Bahman ha potuto incontrare la moglie Jila faccia a faccia (cioè senza lo schermo di una vetrata che li separava) solo tre volte. Quelli che seguono sono gli appunti scritti da Jila pochi giorni fa, dopo l’ultimo di questi incontri.


Tehran, 23 febbraio 2010


“Bahman, giornalista imprigionato a causa del suo lavoro, è in cella da otto mesi.

Oggi ho avuto con lui il terzo incontro faccia a faccia (20 minuti) in tutto questo tempo.
Mi mancava tantissimo parlare con lui, e mi ero appuntata su un foglietto di carta una serie di cose che volevo dirgli.

È una sensazione sorprendente: stare con qualcuno con cui sei abituata a parlare per parecchie ore ogni giorno e dover usare una nota per riuscire a dirgli ciò che vuoi. E, dal momento che Bahman è interessato alle notizie politiche e sociali, più della metà del tempo verrà impiegata per dargli almeno i titoli delle notizie.

Un altro aspetto stupefacente del carcere di Evin è che tu, il visitatore, non hai diritto di portare regali - non conta quanto piccoli - alla persona che ami. Per esempio è vietato introdurre qualsiasi tipo di genere alimentare, nemmeno una barretta di cioccolata o una mela verde. Invece il detenuto è autorizzato a dare al visitatore qualcosa da mangiare, o un dono, di solito confezionato dagli stessi prigionieri. Naturalmente questo può accadere solo nel corso dei contatti faccia a faccia, non certo quando gli incontri avvengono in una cabina, perché in quel caso un vetro ti separa dal prigioniero e la conversazione avviene via telefono.

Provi una sensazione al tempo stesso dolce e amara quando ricevi un dono da un prigioniero che ami. Sai bene che il tuo caro ha risorse economiche molto limitate in carcere e che tuttavia ha cercato di procurarsi il meglio di quello che si può trovare da mangiare lì dentro – generi alimentari che ha acquistato nel negozietto interno della prigione di Evin pagandoli parecchie volte il loro prezzo reale. Apparentemente tutto, nel negozio di Evin, costa molto più che fuori.

Perciò tu sai che il tuo caro ha probabilmente evitato di mangiare o di bere qualcosa che gli piace, per risparmiarlo in vista del tuo arrivo. Se non lo mangi, mandi a monte i suoi piani di vederti contenta. E, se mangi, ti senti strana. Per esempio, Bahman mi ha comprato un piccolo barattolo di confettura di ananas, perché sa che mi piace. Fuori potrei comprare la stessa confettura in qualsiasi negozio a un prezzo ragionevole. Tuttavia devo mangiare con gioia la confettura di ananas regalatami da Bahman, nella sala incontri del carcere, per farlo felice.
L’ho mangiata avidamente, fino all’ultimo boccone.

Mi aveva anche comprato un sacco di cioccolata, cioccolata al latte e barrette di Kit Kat (sa che mi piacciono) e ha insistito perché me le portassi a casa.
Naturalmente l’ho fatto. È tuttavia una strana sensazione. Vorrei essere io a portare da mangiare a lui che sta in prigione, invece di portare a casa qualcosa per me, dalla prigione.”

Jila Baniyaghoub

venerdì 12 febbraio 2010

L'Onu ci aiuti a difendere la libertà

10/2/2010

SHIRIN EBADI

Gentile signora Pillay, sebbene io abbia più volte illustrato il deteriorarsi della situazione dei diritti umani in Iran, ritengo necessario attirare ancora una volta la sua attenzione sul tema, dato che lei il 15 febbraio esaminerà, nella sua funzione di rappresentante degli Stati membri dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti umani, il rapporto sulla Repubblica islamica dell’Iran.

I miei compatrioti hanno vissuto un periodo difficile. Le loro proteste pacifiche hanno avuto come risposta pallottole e prigioni. Fotografi e testimoni confermano la violenza del governo, in alcuni casi anche l’identità dei killer. Purtroppo però né la magistratura né i pubblici funzionari hanno mai fatto un passo per arrestare gli assassini o ridurre il livello di violenza.

Attivisti politici, civili e culturali sono stati arrestati sulla base di accuse senza fondamento. Alcuni di loro sono stati condannati a morte dopo processi sommari a porte chiuse. Due sono già stati giustiziati e altri 25 attendono la stessa sorte. I prigionieri politici sono così maltrattati che alcuni sono morti in carcere o sotto le torture, privi di quei diritti che la legge concede ai detenuti comuni e pericolosi. Quelli in condizioni molto gravi perché anziani o malati non ricevono cure e, vivendo in condizioni malsane, potrebbero morire da un momento all’altro. Ce ne sono almeno sessanta che avrebbero bisogno di un ricovero in ospedale.

L’Iran è diventato una gigantesca prigione per i giornalisti il cui unico crimine è quello di diffondere le informazioni. Attualmente in carcere ci sono 63 reporter e fotogiornalisti. Gli studenti alla minima critica vengono incarcerati o esclusi dall’istruzione. Le donne che chiedono la parità dei diritti sono accusate di cospirare per rovesciare la Repubblica islamica. Già più di cento sono state processate. Lavoratori e insegnanti sono stati accusati di sedizione perché erano iscritti ai sindacati e avevano protestato contro le paghe basse. Alcuni sono stati incarcerati, altri hanno perso il lavoro.

Non sono perseguitati solo i non-musulmani, come i seguaci della fede Baha’i, che non possono più studiare all’università. Nemmeno i seguaci della religione ufficiale, l’Islam sciita, sono stati immuni dalla repressione del governo. Un esempio sono i dervisci, che seguono la tradizione sufi dell’Islam. E adesso c’è un nuovo mezzo di pressione psicologica sugli attivisti politici e sociali: prendere in ostaggio uno dei loro parenti. E’ già stato fatto con otto famiglie.

Il risultato di tutto ciò è che quasi tutti gli attivisti noti o sono in carcere o sono costretti a nascondersi. In ogni caso, non possono andare all’estero. Pur in queste circostanze l’indifeso popolo iraniano continua a resistere e insistere nelle sue giuste richieste di democrazia e diritti umani, dimostrando la sua maturità politica attraverso proteste pacifiche.

Ora la mia domanda a lei, signora Pillay, è questa: per quanto tempo ancora pensate di poter costringere i giovani a restare calmi? La pazienza e la tolleranza degli iraniani, per quanto grande, non è infinita. Una replica degli eventi dei mesi scorsi, il perdurare delle politiche repressive e l’uccisione di gente inerme potrebbero portare a una catastrofe che minerebbe la pace e la sicurezza in Iran, se non in tutta la regione. Così io la esorto, ancora una volta, a usare tutti i mezzi possibili per convincere il governo della Repubblica Islamica dell’Iran a rispettare le risoluzioni adottate dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, a permettere l’ingresso in Iran agli ispettori dei diritti umani, soprattutto a quelli che si occupano di arresti arbitrari, libertà di espressione, diritti delle donne e libertà di culto, e a collaborare con loro. La esorto anche a nominare un ispettore speciale per l’Iran, che tenga costantemente sotto controllo il comportamento del governo e, offrendo suggerimenti e consigli immediati, aiuti a mettere fine alla crisi politica e alla crescente repressione.

Onorevoli amici! Per favore, tenete a mente che siamo tutti responsabili davanti al tribunale della storia. Dio non voglia che ci dobbiamo vergognare davanti a una nazione inerme delle nostre complicità politiche.

Iraniana, avvocato, attivista per i diritti civili, Nobel per la pace 2003 ha scritto questa lettera aperta a Navanethem Pillay, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, resa pubblica dalla Cnn.