10/2/2010
SHIRIN EBADI
Gentile signora Pillay, sebbene io abbia più volte illustrato il deteriorarsi della situazione dei diritti umani in Iran, ritengo necessario attirare ancora una volta la sua attenzione sul tema, dato che lei il 15 febbraio esaminerà, nella sua funzione di rappresentante degli Stati membri dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti umani, il rapporto sulla Repubblica islamica dell’Iran.
I miei compatrioti hanno vissuto un periodo difficile. Le loro proteste pacifiche hanno avuto come risposta pallottole e prigioni. Fotografi e testimoni confermano la violenza del governo, in alcuni casi anche l’identità dei killer. Purtroppo però né la magistratura né i pubblici funzionari hanno mai fatto un passo per arrestare gli assassini o ridurre il livello di violenza.
Attivisti politici, civili e culturali sono stati arrestati sulla base di accuse senza fondamento. Alcuni di loro sono stati condannati a morte dopo processi sommari a porte chiuse. Due sono già stati giustiziati e altri 25 attendono la stessa sorte. I prigionieri politici sono così maltrattati che alcuni sono morti in carcere o sotto le torture, privi di quei diritti che la legge concede ai detenuti comuni e pericolosi. Quelli in condizioni molto gravi perché anziani o malati non ricevono cure e, vivendo in condizioni malsane, potrebbero morire da un momento all’altro. Ce ne sono almeno sessanta che avrebbero bisogno di un ricovero in ospedale.
L’Iran è diventato una gigantesca prigione per i giornalisti il cui unico crimine è quello di diffondere le informazioni. Attualmente in carcere ci sono 63 reporter e fotogiornalisti. Gli studenti alla minima critica vengono incarcerati o esclusi dall’istruzione. Le donne che chiedono la parità dei diritti sono accusate di cospirare per rovesciare la Repubblica islamica. Già più di cento sono state processate. Lavoratori e insegnanti sono stati accusati di sedizione perché erano iscritti ai sindacati e avevano protestato contro le paghe basse. Alcuni sono stati incarcerati, altri hanno perso il lavoro.
Non sono perseguitati solo i non-musulmani, come i seguaci della fede Baha’i, che non possono più studiare all’università. Nemmeno i seguaci della religione ufficiale, l’Islam sciita, sono stati immuni dalla repressione del governo. Un esempio sono i dervisci, che seguono la tradizione sufi dell’Islam. E adesso c’è un nuovo mezzo di pressione psicologica sugli attivisti politici e sociali: prendere in ostaggio uno dei loro parenti. E’ già stato fatto con otto famiglie.
Il risultato di tutto ciò è che quasi tutti gli attivisti noti o sono in carcere o sono costretti a nascondersi. In ogni caso, non possono andare all’estero. Pur in queste circostanze l’indifeso popolo iraniano continua a resistere e insistere nelle sue giuste richieste di democrazia e diritti umani, dimostrando la sua maturità politica attraverso proteste pacifiche.
Ora la mia domanda a lei, signora Pillay, è questa: per quanto tempo ancora pensate di poter costringere i giovani a restare calmi? La pazienza e la tolleranza degli iraniani, per quanto grande, non è infinita. Una replica degli eventi dei mesi scorsi, il perdurare delle politiche repressive e l’uccisione di gente inerme potrebbero portare a una catastrofe che minerebbe la pace e la sicurezza in Iran, se non in tutta la regione. Così io la esorto, ancora una volta, a usare tutti i mezzi possibili per convincere il governo della Repubblica Islamica dell’Iran a rispettare le risoluzioni adottate dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, a permettere l’ingresso in Iran agli ispettori dei diritti umani, soprattutto a quelli che si occupano di arresti arbitrari, libertà di espressione, diritti delle donne e libertà di culto, e a collaborare con loro. La esorto anche a nominare un ispettore speciale per l’Iran, che tenga costantemente sotto controllo il comportamento del governo e, offrendo suggerimenti e consigli immediati, aiuti a mettere fine alla crisi politica e alla crescente repressione.
Onorevoli amici! Per favore, tenete a mente che siamo tutti responsabili davanti al tribunale della storia. Dio non voglia che ci dobbiamo vergognare davanti a una nazione inerme delle nostre complicità politiche.
Iraniana, avvocato, attivista per i diritti civili, Nobel per la pace 2003 ha scritto questa lettera aperta a Navanethem Pillay, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, resa pubblica dalla Cnn.