domenica 31 maggio 2009

Jelveh Javaheri come Aung San Suu Kyi, prigioniera di coscienza



Scritto da Noemi Cabitza
sul sito Secondoprotocollo.org
sabato 30 maggio 2009
Cosa hanno in comune una donna iraniana sconosciuta al mondo (ma non in Iran) e un Premio Nobel per la pace? Semplice: la difesa dei Diritti Umani e il fatto di essere, per questo, perseguitate da un regime sanguinario.

Era il primo maggio quando Jelveh Javaheri, attivista dei Diritti Umani, insieme a tantissime altre persone membri del movimento “un milione di firme” che chiede la fine delle discriminazioni sessuali in Iran, organizzavano una manifestazione pacifica a Teheran con lo scopo di attirare l'attenzione sulle loro richieste. In quell'occasione la polizia degli Ayatollah attaccò i manifestanti prima ancora che potessero riunirsi lasciando sul terreno decine di feriti, insanguinati dalle percosse dei poliziotti/carnefici. Nessuno in occidente ne ha parlato, tanto meno l'autoproclamata “resistenza iraniana”. Poteva essere finita li, invece no. Il giorno dopo la polizia affiancata da agenti dell'intelligence, faceva irruzione nelle case dei maggiori attivisti, tra i quali appunto Jelveh Javaheri, e li arrestava con l'accusa di “attentato alla sicurezza nazionale”. In totale 150 persone, tra uomini e donne, sono state portate in carcere in quell'occasione.
Jelveh Javaheri, che conosce benissimo i propri Diritti, ha chiesto su che base veniva arrestata dato che gli agenti non avevano un ordine del tribunale, ma senza ottenere risposta è stata violentemente percossa, ammanettata e portata in prigione. Con lei è stato arrestato anche il marito.

Dal 2 maggio, giorno degli arresi, molti dei 150 arrestati sono stati rilasciati, ma non Jelveh Javaheri e suo marito che continuano ad essere imprigionati esattamente come “prigionieri di coscienza”. In una recente intervista a Radio Zamaneh, la madre di Jelveh ha raccontato di come la figlia sia stata portata via a piedi nudi come nemmeno si fa con l'ultimo dei criminali e che sebbene ancora detenuta non è stata formulata contro di lei nessuna accusa.

Ironia della sorte per i fatti del primo maggio, come faceva notare il movimento “Iran Women Solidarity”, e che il governo iraniano presieduto da Ahmadinejad , campione nella violazione dei Diritti Umani, si faccia chiamare “Mostazafin” che letteralmente vuol dire “governo dei poveri” o degli “oppressi”. Essi sostengono di essere in prima linea contro “il grande Satana” e contro il “global Estekbar” dove Estekbar sta per arroganza. Incredibile.

Secondo Protocollo si unisce al movimento “un milione di firme” al movimento “Iran Women Solidarity” e alla “Coalizione delle donne iraniane” nel chiedere l'immediata scarcerazione di Jelveh Javaheri e di suo marito in quanto detenuti unicamente per “ragioni di coscienza”. Tutti insieme chiediamo che la Comunità internazionale si mobiliti affinché si metta fine alle repressioni contro gli attivisti dei Diritti Umani in Iran e che sia l'Unione Europea (Italia in testa) a fare un passo formale verso questa richiesta. Sono centinaia le persone (soprattutto donne) che come Jelveh Javaheri sono attualmente detenute in Iran per “ragioni di coscienza”.

http://www.iran-women-solidarity.net/spip.php?article796